Quel tappeto dava davvero un tono all'ambiente

Noi, se si muore solo un po' chi se ne fotte, ma sia molto tardi che si va a dormire…

Archivi Mensili: novembre 2010

che volevano cambiare il mon-do

tre donne a cena, il vino bianco di rito, le riflessioni lavorative, il passato che ritorna, il limoncello spezza-gambe.
E chissà perchè finisci sempre e comunque a parlare in maniera becera e bovina di sesso e aneddoti imbarazzanti. Non certo per te, sia chiaro.

Se a questo quadretto aggiungi il coinquilino nella stanza accanto che sicuramente ascolta in religioso silenzio (e sai anche troppo bene perchè) la serata è presto realizzata.

E anche il mostro del lunedì è presto smitizzato e sconfitto.
Con grazia e meravigliosa volgarità.

Ma facciamo la rivoluzione??

Così mi apostrofa stamattina un collega d’agenzia.
Gli rispondo: siamo vecchi. Devono farla i ventenni, la rivoluzione.
“Dai, loro vanno al macello, noi comandiamo”, aggiunge scherzando. O forse no.

Quarto d’ora canonico di lettura quotidiani on line e mi accorgo che gli studenti stanno scendendo in piazza, almeno ci stanno provando. Due moti si agitano in me: quello disperante e scettico che vede in questi episodi la buona scusa per saltare l’interrogazione su Dante (quanto autobiografismo) e poi il moto malinconico, che si ricorda della propria infanzia, dei sogni di cambiamento, della voglia di sovvertire tutto e costruire un mondo nuovo.

E mentre il primo è perfettamente inserito nel cinico contesto dell’ex liceale classica, ex sognatrice pseudosessantottina, ex pseudocomunista, ex cinefila (la lista degli “ex” potrebbe durare all’infinito) seduta ora alla scrivania di una delle più grandi “multinazionali della fuffa”, il secondo è molto più pericoloso.

Non domandarci la formula che mondi possa aprirti/sì qualche storta sillaba e secca come un ramo./ Codesto solo oggi possiamo dirti:/ciò che non siamo, ciò che non vogliamo/


E’ la voce della verità, quella “coscienza” che grida prepotente “potevi, potevi, potevi!!E non hai mosso un’unghia”.
Guardare i ragazzini in piazza mi fa male dentro. Vorrei essere lì con loro, stringere uno striscione, urlare frasi violentissime e giustissime, con la meravigliosa ingenuità di quell’età.
Ma vorrei anche spedirli tutti a casa, mandarli a studiare, interrogarli facendo crollare in due secondo le loro inconsapevoli motivazioni belligeranti.
Vorrei ucciderli.
Perchè io, noi, ci siamo suicidati e da allora non è cambiato nulla.

Verremo ancora alle vostre porte e grideremo ancora più forte: per quanto voi vi crediate assolti siete per sempre coinvolti, per quanto voi vi crediate assolti siete per sempre coinvolti!

La paura di guardare MI ha fatto chinare il mento.
Bene. Ammettere il problema è metà della soluzione, così pare.
Ma la gravità si fa ancora più pesante e minacciosa quando considero non solo di non aver davvero fatto niente per cambiare il mondo in cui vivevo (anzi, plasmandomi di conseguenza. Cosa molto umana e comprensibile. Sociologicamente “normale”) ma nemmeno me stessa. Nè allora nè ora.

La mia rivoluzione non è arrivata, non arriva.
Quella egoista, egocentrata, egocostruttiva.
E sono davvero stanca di non guidare.
Il posto del passeggero mi nausea, non basta più alcuna medicina auto o eteroimposta a placare questo insopportabile giramento di testa, questo verme solitario aggrappato ad ogni villo.
E’ giunto il momento di prendere in mano le redini, in tutti gli aspetti della mia vita, anche quelli relazionali.
Quanto meno imbarazzante che continui again and again a permettere a “persone” di prendere pieno possesso dei miei pensieri, delle mie azioni.
E’ quella incomprensibile fiducia nell’essere umano che mi frega.
Anche questa volta.

It has to start somewhere It has to start sometime
What better place than here, what better time than now?

Metti…

..un sabato sera novembrino, la pioggia lieve ma costante, le piazze brulicanti di persone, le castagne che scoppiettano al fuoco, lo spritz de Le Sablon, i bianchetti col folpo, i sampietrini, il profumo di asfalto bagnato, i racconti infiniti, i pettegolezzi mai terminati.
Metti le feste alcoliche, gli amici di sempre che continuano a stupirti e grazie ai quali capisci di nuovo chi sei e perchè, i Supergrass all’improvviso, le peregrinazioni notturne, i balli solitari delle 5 del mattino, i discorsi sconnessi in macchina.
Metti poi lo spirito relativista dell’ultim’ora, i giri improbabili sui colli nebbiosi e umidi, le canzoni urlate in macchina, i tornanti, i taglieri di salumi e formaggi accanto al camino ardente, l’abbraccio di un amico, i prematuri progetti estivi.

E la vedi, cristallina. Per un secondo lungo un’era.
La felicità.

Ma quando torno a Padova

Mamma: dai, mangia lo spezzatino!
J: ho mangiato a sufficienza direi
Mamma: c’è anche il radicchio ai ferri in forno!
J: no, grazie
Mamma: assaggia il tacchino!
J:no
Mamma: Questo è il prosciutto di Montagnana, eh!
J: eh, ok
Mamma: hai sentito le verze della coldiretti?
J: no, sono a posto
Mamma: ti ho fatto la pizza!!Un pezzettino???
J: dai, pure la pizza no.

Papà, lapidario: guarda che la pizza fa dimagrire.

E comunque potrei stare le ore ad ascoltare la Dave Mattews Band.

Shyness is nice, and shyness can stop you from doing all the things in life you’d like to…

Dedicato a una persona.
Ho sempre pensato fosse molto più facile essere felici che pensierosamente tristi.
Attribuivo la serenità agli stolti, a chi ha pochi pensieri per la testa e troppa superficialità per esplorare le sue più recondite radici e morirci intrappolato. E gaudente, sia chiaro.
No peggio. Era proprio un giudizio moral-culturale: non hai gli strumenti, le letture, le canzoni, le pièces teatrali, gli studi matti (e disperatissimi), le esperienze, le tragedie familiari per comprendere in che misera condizione esistenziale tu sia stato volente o nolente gettato.
Ecco risplendere il mito sempreverde del poete maudit, del posato e introverso cantautore, della tragedia come forma di catarsi, delle pippe morettiane.
Eccoci noi critici, noi personaggi austeri.
(A volte penso seriamente che il liceo classico possa portare alla depravazione mentale.
Forse Cesare Pavese non dovrebbe essere più insegnato ma solo trovato – per sbaglio – in qualche polveroso scaffale di una libreria di serie B. Quelle senza caffetteria e Smart Box, per intenderci.)
Ecco si, lo pensavo.

E, crepi l’avarizia, in parte lo penso ancora.
Forse si, sarebbe meglio sapere il meno possibile per fruire del mondo con ingenua genuinità.

Ma il punto non è questo: è molto più difficile e scomodo e impopolare professarsi felici o cercare di affrontare con ottimismo e compromessi la vita quotidiana.
I depressi, i critici, i disfattisti, i materialisti esasperati (le verità cercate per terra da maiali: tenetevi le ghiande, lasciatemi le ali), i tragici sono decisamente più di moda.
E siamo tutti d’accordo: è più facile distruggere che costruire. Siamo l’esercito dei “bella forza”.
Forse è una questione di tempi bui, di medioevo della nostra esistenza come civiltà.
Forse il piagnisteo vincerà sempre sul sacrificio dell’ottimista.

Si, è un sacrificio.
E non mi riferisco solo alla serenità di chi ha la fortuna di non avere pensieri (SE esiste qualcuno così), ma alla forza di chi si rialza sempre e comunque.
Il perdente che si aggrappa alle corde e non vuole cadere, per scadere nel solito citazionismo.

Non lo so, credo però che anche per l’amore sia così.
Non esistono persone sbagliate, persone giuste. Romantici, non romantici.
Appellativi arcaici, vuoti di significato alcuno.
Esiste l’attitudine, la propria attitudine.Nel senso inglese di attitude, di personalissimo atteggiamento verso l’esistenza.
Di assunzione di responsabiltà.

La comodità e la superbia insite nel credere di essere gli assoluti incompresi in una desolata fauna di gretti e mediocri sono le peggiori armi puntate dritte alla nostra tempia.

E’ un gioco molto eccitante, tutto sommato.
Pronta a premere il grilletto?

We don’t bleed when we don’t fight

E poi…entra Matt.
Look total black, occhio di ghiaccio, immancabile bicchiere di vino bianco tra le mani e una “Runaway” da brivido.

I never thought about love when I tought about home…

E’ incredibile come si possano invertire le prospettive e i punti di vista in tempi così rapidi.
Sweet home…?(fill in the blanks).

Il che dà la misura della velocità del cambiamento: tanto siamo naturalmente portati ad aggrapparci con le unghie agli status quo quanto la capacità di adattarsi e fare del cambiamento il proprio nuovo status quo (si, provocazione ossimorica) è incredibilmente sviluppata.

Il punto di vista non parte più da Padova. La mia grande, onnicomprensiva, onnipresente Padova.
Ora giace laggiù, come un punticciuolo lontano…vicino al mare, immersa nelle campagne.
Piccola.
Meravigliosamente piccola.Com’era?? “A misura d’uomo”.
Soffocantemente piccola.Com’era?? “Un buco”.

Ora lo sguardo è lontano, l’atteggiamento compassionevole…tipico della figliola non ancora prodiga che vede le sue origini venete con un misto di bonario paternalismo, affetto, orgoglio campanilista (Eh, noialtri però.Noi siamo sì veraci.Altro che questi milanesi vacui e mollicci).

La prospettiva adesso si proietta dalla decadente grandeur della metropolina Milano: dal fumo, dalla pubblicità, dai liberi professionisti nei cocktail bar, dagli irrimediabili rituali del sabato sera (retaggi patavini, tuttavia.Vedi che alla fine qualcosa te lo porti sempre con te.Dicevi bene, Piovene!), dal multiforme universo umano della metro gialla, dalle file di punkettoni fuori dall’Alcatraz, dai mercati indie la domenica pomeriggio nei teatri.

Quantomeno interessante che le immagini scelte per descrivere quella che considero a tutti gli effetti la “mia” casa, il mio nuovo punto di vista siano così intrisi di connotazioni negative, in fondo.

Mi chiedo se capiti così spesso di sentirsi completamente apolidi o se sia una condizione che ci si porta dentro dalla nascita.
Con la sottile condanna (perchè l’inesistente destino non manca di essere subdolo) di amare così tanto gli immobili status quo conservando pur sempre un animo vagabondo e di totale inappartenenza.

Qual è, dunque, casa?
L’ho sempre detto che Brescia sarebbe stata la perfetta metà strada.

E insomma,
stasera i The National all’Alcatraz. File di pseudointellettuali radical-rock-folk-chic, masse di panciotti, gilet, montature nere, barbe incolte, scarpe lucide e giacche con le toppe vellutate sui gomiti.
Uno spettacolo spassoso considerata la fauna che giace qui sotto di solito.

Non mancherò, dunque.

corsi e ricorsi storici

Diceva Giambattista Vico.
Certo, il suo era un approccio filosofico, peraltro male interpretato nei secoli a venire, che presupponeva la possibilità che si verificassero dei “ricorsi” nella storia dell’uomo dettati dall’uomo stesso.
Non è detto insomma che la storia si debba ripetere, non c’è la necessità stoica che questo si verifichi: è l’uomo che è sempre uguale a se stesso, la sua struttura mentale che “determina” la possibilità di ridare vita a un ciclo storico apparentemente conchiuso.

Tralasciando l’interpretazione apocrifa condensata nelle suddette tre righe mi chiedo quali possano essere le ricadute postmoderne di questo approccio.

Altresì detto: perchè ricadiamo sempre nei soliti schemi?

Ma volendo volgarizzare e minimizzare ancor di più la delicata questione: cosa porta gli esseri umani di sesso maschile a riproporre la propria candidatura quando di fatto è già stata cassata tempo addietro?
Cioè, se allora ti ho detto “NO” perchè dopo un mese dovrebbe essere si??

Forse è solo questione di pessimi tempismi. O di masochismo gratuito. O di orgoglio atavic-gorrilesco.
Fatto sta che la birra infrasettimanale proposta da chi hai barbaramente sfanculato mesi addietro prima o poi arriva a tutte.
Non abbiamo scampo.
E dobbiamo contorcerci in tripli salti carpiati per dare ad intendere che forse, ecco…non è il caso.
Ma non dipende da te, solo da me..sia chiaro.

E la malsana proposta arriva quando quella dannata birra vorresti forse trangugiarla in tempo da Guinness (il primato, oltre che la marca) da sola in camera tua per dimenticare tutto il tempo sprecato con l’essere maschile in questione.

E non ci sentiamo lusingate o fortunate o meno zitelle solo per il fatto di avere scelto la strada dell’autodeterminazione: è che STIAMO BENE COSI’.
Uooo.

E’ come la famigerata noce di cocco: fa bene alla pelle, fa bene ai capelli…certo se t’a magnavi era mejo.

On and on the rain will say how fragile we are, how fragile we are…

Una citazione. Quale miglior modo di ricominciare. Degno dei migliori scrittori, giornalisti, cantanti di spessore.
Non è facile uscire da un periodo di afasia, non da un periodo lungo come questo.
Perchè il flusso di pensieri che ti travolge nei momenti più impensabili e si palesa così chiaro alla coscienza perde di forza di fronte a una pagina bianca. Come se rifiutasse di materializzarsi in una parola scritta, in sequenze di lettere nere su uno spazio bianco, potenzialmente senza confini e invero così delimitato.

Ma da qualche parte si deve pur (ri)cominciare.
E sebbene la mia bulimia di pensieri e parole sia una piaga nota agli altri e prima di tutto a me stessa provo una forte resistenza a concretizzarla su questo spazio.
Resistenza prima di tutto fisica: le dita scivolano troppo piano,i polpastrelli indugiano incollandosi su ogni singolo tasto quasi a non volerlo abbandonare mai più, lo stomaco si contorce, gli occhi cercano altri stimoli verso cui indirizzarsi.
Ed è proprio questa resistenza che mi sfida beffarda a continuare: se fa male fa bene, Giulia.
Può essere che questa filosofia masochista intrisa di retaggi cattolici (che mai mi abbandoneranno) non abbia alcun senso. Ma nichilisticamente eviterò di cercare un senso ai moti di pancia.
La pancia ha ragioni che la ragione non conosce?

Novembre: forse il mese peggiore per cercare nuovi inizi.

Cala Novembre e le inquietanti nebbie gravi coprono gli orti,
lungo i giardini consacrati al pianto si festeggiano i morti, si festeggiano i morti.
Cade la pioggia ed il tuo viso bagna di gocce di rugiada
te pure, un giorno, cambierà la sorte in fango della strada, in fango della strada…

Forse si.
Ma ho sempre pensato che fosse dalla nebbia che la visione improvvisa del chiarore acquisisce più splendore e forza.
Altrimenti è troppo facile, cari Maggio, Giugno, Luglio e via dicendo.
E poi a Novembre ci sono le castagne, i bianchetti in piazza, la pioggia domenicale, il freddo che ancora non ti sferza la faccia, i colori grigi che si scontrano con il tripudio di gialli e aranciati, le favette da morto, l’odore di umido e bruciato, il compleanno della mamma.
Ed ecco comparire anche Scorpione e Sagittario, quindi si…non è uno dei mesi di cui posso dirmi propriamente fan.
Ma caro Novembre per quanto mi sfidi in molti modi ad odiarti non lo farò.
Anzi, cercherò di trarre nuova forza dallo stato di decadenza e immobilismo in cui stai cercando di incastrarmi.
Io voglio un nuovo inizio, caro mio.

Bene, come tutti gli inizi è giusto che non si arrivi al punto, posto che ci sia un punto cui arrivare…e io credo di si.
Credo anche che proverò a prendere l’impegno di darmi di nuovo un appuntamento quotidiano su questo blog cercando di esplorare argomenti forse più utili e meno autoreferenziali.
Ma si, è un inizio. In fondo si scrive per se stessi prima che per gli altri, e come direbbe il dottor S. scrivere potrebbe essere l’inizio di una cura.

Certo, sappiamo tutti com’è finita.